Alcune riflessioni sul lavoro di facilitazione per i singoli e per i gruppi

Quale posizionamento nella facilitazione?

di Marcello Musio

 

Innanzitutto, è importante intendersi sul termine facilitazione, con il quale comprendiamo un insieme di aspetti metodologici, tecnici e, soprattutto, attitudinali alla relazione individuale e gruppale. Il facilitatore quindi si propone di condurre un processo che prevede l’attivazione di un singolo o di un gruppo alla decodifica di un “questione”, la formulazione di un compito/obiettivo, le azioni per tradurlo/trasformarlo in successive ulteriori azioni che mirano alla realizzazione di una o più risposte alla questione stessa. Il tutto in una circolarità costante, creativa e relazionale, necessaria alla continua abilitazione dei propri committenti ad abitare ed abilitare le proprie competenze. 

In questa circolarità costante, tra le tante sfumature che la compongono, vogliamo porre l’attenzione su un particolare prezioso: il posizionamento del facilitatore.

Il posizionamento del facilitatore deve fare i conti con l’aspettativa e la proiezione dell’interlocutore che, per la natura del rapporto, può essere portato a “rinchiudere” il facilitatore nella gabbia deterministica del “presunto sapere” onnisciente, gabbia nella quale il facilitatore stesso può tendere a rinchiudersi da solo per affrontare lo sforzo a cui è chiamato. Questo primo, apparentemente banale, concetto correda il tema della facilitazione di un indicatore sensibile di grande importanza per un buon posizionamento nella conduzione: potremmo dire che più il facilitatore riduce il proprio “peso” più ha possibilità di risultare efficace, attraverso un posizionamento “ridotto” al governo del processo e dei suoi passi delineati. Nell’ampiezza del proprio compito avere la capacità di “togliere”, ridurre ad una puntualità e precisione di rimando il proprio stile potrebbe risultare una chiave di lettura importante.

Altro aspetto relativo al posizionamento è legato al tema del confine, della relazione con il singolo o gruppale, tra interno ed esterno: si ritiene infatti di cruciale importanza nutrire costantemente la capacità di leggere quanto accade all’interno della relazione considerando i temi interni ed esterni che quella relazione “scatena”. Ogni processo di attivazione, infatti, è volto ad aprire risorse, pensieri, emozioni e concetti che interagiscono tra loro in una dinamica permeabile e contaminante che nutre di forze ed energie il processo, producendo la riuscita o il soffocamento dell’attività stessa.

In questa cornice si ritiene utile una riflessione che porti il facilitatore ad assumere la posizione sul confine in maniera elastica; potremmo dire che per il facilitatore è molto importante apprendere l’abilità di oscillare costantemente tra interno ed esterno, per immettere, ma anche espellere costantemente utile ed inutile, materiale nutriente e materiale intossicante, in stretta relazione con il proprio interlocutore.

foto Suzana Zlatkovic